Finto e dribblo il terzino tirando un colpo secco nel sette dove il portiere avversario proprio non può arrivare. Dopo la delusione azzurra al mondiale 90, fermata dall’Argentina di Maradona, la mia Italia virtuale almeno è arrivata a una sudata finale battendo l’Oman. Chi è nato a cavallo tra anni ’70 e ’80, sicuramente si ricorderà del videogame Microsoccer, una arcade calcistica così semplice che oggigiorno farebbe sorridere i nostri coetanei.
L’Oman era la squadra materasso che mi permetteva di vincere passando un po’ più agevolmente il turno, ed era proprio durante le partite con il mio Commodore 64, che sono venuto a conoscenza di questo paese così lontano dalla mia realtà.
Alla scoperta di Muscat
Il caldo soffocante, appena sceso, a primo impatto sembra quasi irrisorio, data la torrida estate adriatica, ma più passano i minuti più mi accorgo che, lontani dal fresco dell’aeroporto, l’afa sembra violentemente abbracciarmi fino alla fine della mia vacanza.
L’Oman è totalmente diverso dalle nuove città arabe a cui siamo abituati, palazzi vecchi e nuovi si alternano senza cambiare stile architettonico, dando vita a vie sempre uguali e monotone, in cui si avvicendano ampi spazi desertici e lussureggiante verde che fa da cornice a strade rettilinee percorse a tutta velocità da Chayenne e da potenti Suv.
Il Sultano Quabus, è rappresentato su cartelli propagandistici in molti angoli del paese, e in ognuno di essi si erge fiero. Colto e raffinato, è stato il primo a portare il suo paese a una forte modernizzazione, ma diversamente dalla tanto decantata Dubai, non ha fatto una gara al rialzo di grattacieli, realizzando invece nuove urbanizzazioni e la Grande Moschea, vero gioiello architettonico.
La Grande Moschea
Impossibile passeggiare con il caldo torrido e, dopo pochi minuti, cerco subito qualche discount per refrigerarmi e per reintegrare la mia arsura. Parlo con la giovane ragazza, pago il conto e chiedo dove trovare la Grande Moschea, faccio difficoltà a capirla perché qui l’inglese, se pur abbastanza conosciuto, ha una pronuncia molto diversa da quello a cui sono abituato e spesso incappo in errori. Capisco subito dalla piccola conversazione che le donne, anche se vestite all’antica, hanno una apertura mentale diversa dal resto degli altri emirati, tanto che nel 1994 il sultano fu il primo a concedere il voto al gentil sesso.
Arrivo alla Moschea e, sotto gli alberi, lavoratori stanchi, di chiara origine indiana o cingalese, cercano ristoro consumando un veloce pasto prima di cominciare le opere di pulizia. Passate le piantumazioni si arriva in un ampio spazio confinante la Moschea da dove scatto foto. La forte asimmetria, e il gioco di nicchie con diverse tonalità di ricchi marmi e mattoni, saltano subito all’occhio. Entro dentro, e anche qui ci sono stanchi operai scalzi che sonnecchiano profondamente non accorgendosi della mia presenza. Questa meraviglia architettonica è un trionfo di marmi e di gioco di colori e luci, e gli ampi vestiboli con le grandi arcate sono proprio piacevoli da passeggiare, per ripararsi dal sole cocente
Il marmo esterno al porticato è così ben pulito e lucido che la Moschea adiacente si specchia sulla pavimentazione. Un uomo, solertemente, si avvicina, e con educazione ci avvisa che non è giorno di visita ma che potremmo farlo il giorno successivo rispettando l’intervallo che va dalle otto alle undici del mattino. Cerco di dissuaderlo e con un sorriso accattivante e sicuro dico che sono un giornalista famoso alla ricerca di uno scoop nel suo paese. Forse preso in contropiede il funzionario mi concede questo lusso e m’incammino senza entrare all’interno della Moschea. Arcate ampissime si avvicendano tra loro segnando il passo e sembrano narrare gesta eroiche di chissà quale sultano. Vado avanti e fotografo senza farmi scorgere, fedeli e anziani signori che tutti insieme si dirigono al lavatoio per le consuete abluzioni. Questa volta un altro guardiano viene verso di me e non mi concede la stessa cortesia del precedente caduto nel mio puerile tranello.
Il lungomare selvaggio
La città si sta fortemente occidentalizzando, con enormi centri commerciali realizzati a poca distanza gli uni dagli altri, e da qui prendo un taxi , uno dei tanti che però senza satellitare non riesce mai a trovare la direzione del mio albergo, ma facendomi scoprire un lungomare selvaggio e suscettibile che diventerà meta della mia prossima giornata. Come dire non tutti i mali, dopotutto, vengono per nuocere.
La passeggiata è lunga, decido di farla a piedi, ma mi accorgo di aver fatto uno sbaglio notevole, perché il caldo è insopportabile, però riesco in questo frangente a vedere cose che dentro un’auto non potrei mai scorgere. Bambini, vicino a raffinerie di petrolio affacciate sul mare, giocano a piedi scalzi, uno di essi mi affascina perché sul suo viso leggo il senso di vuoto e di rabbia di chi sogna una rivincita, magari calpestando l’erba di un grande stadio.
Molti autisti passando mi sorridono, mentre altri distrattamente mi scorgono un istante pensando, sicuramente, che solo un folle potrebbe incamminarsi per questi lunghi boulevard con questa infernale temperatura.
Arrivo a una spiaggia semi deserta che si infervorerà la notte, quando l’afa si attenua, e da questo punto di vista che l’intorno ha un proscenio meraviglioso, con mare e montagne desertiche che tappano la mia visuale. Ozio sul mare scrutando i movimenti di un gruppo di spagnoli abbondantemente tatuati, che giocano a pallone sulla spiaggia urlando a squarciagola, con comportamenti poco raffinati, rispetto alle poche famiglie che fanno un pic-nic sotto le palme.
On the road
Mi viene un’idea, quella di un veloce ritorno on the road, stile “Easy Rider”, raggiungendo Dubai per poi arrivare in aereo in Qatar. Emulo uno dei miti del cinema, Dennis Hopper. Pigiando l’acceleratore per arrivare negli Emirati e percorrendo una strada quasi solitaria, con qualche mulinello di sabbia che urta il mio parabrezza, sento il profumo della libertà, di quella libertà che sento mancare quando sono nel mio paese, nel vociare di donne insicure e monotone, di F24 e nello stridulo chiacchiericcio di gente vanesia che oramai ha perso la bussola della propria sovranità.
Doha
Arrivo all’aeroporto di Doha, assonnato e stanco, e qui la musica cambia totalmente, sarà dura tornare a Fiumicino dopo aver passeggiato all’interno di questa meravigliosa struttura, dove addirittura per la seconda classe sono stati messi sedili in elegante pelle di variegati colori.
Preso il taxi, la vita della città prende forma sotto un fenomenale Skyline. Chiedo all’autista cosa pensa delle opere ciclopiche che si stanno realizzando in questa geniale città. Laconicamente mi risponde: “ Ne siamo orgogliosi, perché a differenza di Dubai stiamo realizzando una città che non sarà solo dedita a vacanze ma anche a nuovi scambi commerciali, con nuovi musei, in cui il traffico internazionale dovrà fermarsi.” Rispondo: “Quindi non una cattedrale nel deserto?” e lui “Assolutamente no, Doha sarà uno specchio per le generazioni future, il nostro boom è incominciato da meno di un decennio”.
Lo skyline è degno di un film di fantascienza, in cui una bella passeggiata con palme, giochi e una piccola porzione di spiaggia camminano parallelamente alle ampie arterie stradali. Il Corano, onnipresente nella vita di ogni buon mussulmano, è addirittura posto sui pali della luce, dove le parole del profeta li rivestono in tutta la loro altezza.
La City potrebbe essere la City di ogni nuova moderna città, ma non so perché quest’ultima mi affascina maggiormente, ha più carattere, perché non sembra esserci solo una mera speculazione edilizia con grattacieli addossati l’un l’altro, quanto una idea di città non a “macchia d’olio” e più a dimensione d’uomo.
Ancora più che a Muscat il caldo è torrido, ma perdersi tra palme, il mare e le eccezionali e labirintiche costruzioni, toglie ancora più il respiro che l’alta temperatura, e penso, tra l’altro, che a dicembre il clima diverrà più mediterraneo e che dunque per quell’occasione saranno svolti i mondiali con stadi unici nella storia del calcio.
Torno nel tecnologico aeroporto, dove simpatiche e raffinate hostess vestite di tutto punto mi salutano con molta gentilezza. Eh già, sbadatamente ero entrato all’interno della prima classe, ma questo non fa sì che le due donne diminuiscano il garbo nei mie confronti, accompagnandomi gentilmente all’ingresso del desk. Non avendo portato il biglietto di tutto il mio tragitto, cosa che non sapevo, fa si che l’addetto non mi lasci passare. Mi innervosisco, mi sembra impossibile, mancano una manciata di minuti alla mia partenza e la fila s’ingrossa sempre di più, con qualche passeggero che si lamenta sommessamente. Fortuna, la tecnologia, questa volta, il mio nuovo cellulare acquistato proprio prima di questo viaggio, si connette alla rete wifi, e attraverso la mia email faccio vedere il mio tragitto di ritorno. Sospiro di sollievo e si parte.
Il riscatto del Golfo Persico
Un nuovo emozionante viaggio è terminato. Avendo camminato attraverso ampi spazi desertici fino ad arrivare alla più moderna tecnologia, ho capito che due paesi, seppur differenti come mentalità, vanno a convergere in un unico punto chiamato riscatto. Sì. Proprio il riscatto del Golfo Persico, ormai non definito più solo Dubai.
(Articolo apparso originariamente su lifemarche.net il 27/08/2015)