Monteleone di Spoleto: ferro, farro e carro

Bisogna avere un valido motivo per visitare Monteleone di Spoleto, nonostante la sua bellezza sia ben poco pubblicizzata.
Un grosso peccato, data la sua eccezionale triade formata da tre sostantivi quali ferro, farro e carro, che hanno permesso di far entrare il borgo nel circolo dei piu’ belli d’Italia.
Arrivo a destinazione e supero la porta d’ingresso, incamminandomi lungo l’arteria principale, perimetrata da piccole botteghe, che vendono il famoso farro locale, riconosciuto come prodotto DOP, perché legato fortemente alle tradizioni del suo territorio.
Inflessioni romane “inquinano” il dialetto locale, figlio minore di una dialettica di oriundi tornati a visitare le proprie case paterne, quando il paesino si è spopolato per la sua forte immigrazione.
La gente s’incontra fuori i deliziosi esercizi commerciali e si siede sulle panchine poste lungo la strada, raccontando storie intrise di romantica quotidianità.
E’ questa Italia nascosta, agreste e semplice a darmi spunti e dubbi sull’affannoso momento storico che stiamo attraversando, suggerendomi una prospettiva differente all’attuale modus vivendi.
Un Carro etrusco per reagire

Incontro la gentile Giuseppina Ceccarelli, con cui ho concordato, in questa bella domenica di fine estate un’appuntamento per poter visitare la copia del celebre carro etrusco, che fu ritrovato decenni addietro da un contadine e poi ceduta a un rigattiere e che dopo alterne vicende è “espatriato” al Metropolitan Museum of Art di New York.
Il fascino di questa biga è certamente entusiasmante, nonostante mi ritrovi di fronte ad una ben riprodotta copia, grazie alle sue decorazioni, in cui spicca una forma di cinghiale che funge da timone.
Sono stati effettuati diversi scavi archeologici per portare alla luce antiche vestigia, ma la realtà si è dovuta scontrare con la mancanza dei fondi, che non hanno permesso di continuare le ricerche.
La delusione è palpabile sui lineamenti del viso del mio cicerone, tra l’altro vice presidente dell’ArcheoAmbiente, che tenta di filtrare il suo dispiacere con racconti d’epoche passate.
Giuseppina mi sottolinea che l’Amministrazione ha puntato molto sul carro, per dare un nuovo giro di vite all’intero indotto turistico.
La porta del silenzio

Eppure Monteleone di Spoleto va al di là di miniere di ferro, prodotti tipici e di una biga.
La sua pianta urbana è costituita da antiche rue in pietra che raccontano storie d’antologia, il cui silenzio è il rumore piu’ forte.
Superata la porta di Piazza Margherita, si entra in una trascendentale dimensione, cara agli animi sensibili. Luoghi impregnati di una velata malinconica, in cui si respira profondamente l’aria di un passato mai dimenticato.
Il ritrovo in piazza è il simbolo dell’ospitalità di questa gente, di coloro che hanno avuto il coraggio di restare e a cui dedico le mie parole.
Torno a guardare il cielo, cercando nelle forme mutevoli delle nuvole un’alternativa alla mia idea di destino, per la nascita di un nuovo Umanesimo.
Il tempo si dilata scorrendo lentamente e trovo il coraggio di fermarmi, per osservare particolari nascosti alla vista, con la possibilità di colloquiare con i cittadini.
Ed allora discuto con le due simpatiche professoresse vicino l’ingresso della loro abitazione, con il fotografo e sua moglie, la quale mi spiega i segreti del farro appena acquistato.
Uno stato d’animo liberatorio in bilico tra sogno e realtà e di cui sentivo la mancanza.
Alla triade paesana di ferro, farro e carro, aggiungerei accoglienza. Scusate se è poco.