Nagorno-Karabackh il “limbo” dimenticato.

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La zona cuscinetto del Caucaso

Cartina geografica del Nagorno-Karabakh , un limbo spesso dimenticato, ora al centro della tragica escalation militare.

Il Nagorno-Karabakh è un limbo, una “strategica” zona cuscinetto voluta dai russi alla fine della Prima Guerra Mondiale, che però non ha mai trovato pace a causa delle differenziazioni religiose, etniche e politiche, tra la popolazione mussulmana azera e quella cristiana armena.

Una bomba ad orologeria pregressa innescata nel cuore del Caucaso, dopo il rapido dissolvimento dell’Unione Sovietica alla fine degli ottanta, quando è stata relegata ad un ruolo marginale del suo vasto impero.

Una convivenza difficile, resa ancor più drammatica da esplosioni di violenza come il massacro di Khojaly, quando l’esercito armeno massacrò gli ignari cittadini azeri.

Una visione italiana

Il meraviglioso museo Alyev, realizzato dalla compianta archistar Zaha Hadid, simbolo della crescita economica azera.

La mia esperienza come parte “attiva” del conflitto parte nel 2012, quando all’arrivo nel vecchio aeroporto di Baku, vengo a sapere di un nuovo allarmante contenzioso tra i rispettivi fronti.

La polizia ha la guardia alzata e nonostante la celebre ospitalità locale, non sento di essere il benvenuto. L’escalation militare tra i due stati sale di giorno in giorno e gli agenti vogliono vederci chiaro sul perché della mia presenza e tirano un sospiro di sollievo quando scoprono di aver di fronte solamente un turista in visita nella loro terra.

In fondo la guerra è lontana, Baku mi mostra il suo vero volto, quella di una città in pieno sviluppo e desiderosa di mettersi al passo con i tempi, anche se la paura di un nuovo conflitto armato fa breccia ogniqualvolta parlo con i locali.

Entro all’istante in empatia con il suo variegato tessuto urbano e sopra tutto con la stupenda “Old Town“, dove sono tangibili i segni di un passato glorioso e di un raro pluralismo etnico e religioso, superiore al nostro tollerante e decantato neo-liberalismo.

Decido di prendere un mezzo per raggiungere il fronte, un’occasione per conoscere i retroscena di una guerra dimenticata e che sembra riaccendersi per un non nulla. Nessuno è disposto ad accompagnare questo strano turista amante di una spia d’altri tempi quale fu il loro concittadino Richard Sorge.

Fortunatamente la storia azera decide di proteggermi da un eventuale visto di rifiuto da parte del Governo di Baku, dandomi così l’opportunità di poter tornare.

Le dichiarazioni dell’Ambasciatore Mammad Ahmadzada

L’ambasciatore Mammad Ahmadzada, strenuo sostenitore della causa azera.

E’ da tempo che ho stretto una bella amicizia giornalistica con l’Ambasciata Azera di Roma ed ho partecipato ad innumerevoli forum, ragion per cui mi sono sentito in dovere di dire la mia, sopra tutto dopo l’evento “Dieci storie che potevano essere vere“, dove si narrava le vite spezzate di alcuni ragazzi da parte delle truppe armene, durante le tragiche giornate del 25 e 26 febbraio 1992.

L’ambasciatore non fu avaro di parole come non lo è stato tutt’ora, predicendo un conflitto duraturo se il governo di Yerevan non si fosse ritirato ponendo fine all’escalation militare, ammonendo i media armeni sulle loro fake-news, atte a screditare l’Azerbaijan di fronte all’opinione pubblica mondiale.

 

Tutela dell’eredita’ cristiana e storica nelle terre liberate

Una moschea nella città di Ganja, simbolo di tolleranza e multiculturalismo.

Fedele alla sua visione pluralista, al termine della liberazione dei territori occupati il Ministero della Cultura dell’Azerbaijan ha fatto intendere di preservare i beni architettonici mediante un minuzioso lavoro di restauro e ricostruzione, perché i cristiani dell’area del Nagorno sono parte integrante, insieme ai propri monumenti della società azera.

Un modello di tolleranza elogiato perfino da Papa Francesco durante una sua visita nell’ottobre 2016, in cui ogni persona può professare il proprio credo senza discriminazione alcuna.

Negli ultimi venti anni il governo ha approfittato della crescita economica del secondo boom petrolifero non solo costruendo nuove infrastrutture per ammodernare il paese, ma ha pensato ad un piano strategico per ristrutturare il proprio tessuto storico.

Una “guerra” vinta ed atta a continuare il vincente modello culturale azero, che stupefece diverse delegazioni occidentali alla fine della Prima Guerra Mondiale, quando la “civile” Europa usciva dissanguata dall'”inutile strage”.

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