Io Barbara Schiavulli corrispondente di guerra

Barbara schiavulli|barbara kabul 8.09|ghani1 (1)|babsburqa2|20180320 111224 (1)

Indice

La storia del “melone” in un doloroso Venezuela

Barbara Schiavulli, con una bimba afgana durante la sua permanenza in una nazione che da più di trent’anni non riesce a trovare la pace. “E’ un paese in cui mi piacerebbe tornare, perchè nonostante le asprezze della vita, il popolo m’infonde una grande umanità”.

Ho conosciuto Barbara Schiavulli, durante un summit all’università di Chieti, dove parlava della sua esperienza nel martoriato Venezuela.

La storia che ci proponeva era quella di due donne, madre e figlia, residenti a Caracas, che desideravano ardentemente un melone, ma non avevano i pochi bolivares per poter permettersi un bene divenuto lusso.

Non sono uno che si lascia andare a facili lacrime, ma la voce calda della giornalista ed il suo racconto dolorosamente emozionante, era esposto con così’ cruda realtà, che potevo addirittura viverla, come per magia nel ranchio (favela) delle due sventurate protagoniste.

Avevo capito all’istante che mi trovavo di fronte non solo ad un’eccellente corrispondente di guerra, ma anche ad una donna determinata a raccontare la verità su di un paese, abbandonato a se stesso, non solo dai suoi politici, quanto anche dallo stesso occidente. 

Intervista a Barbara Schiavulli

Prima intervista al mondo al presidente afgano Ashraf Ghani L’intervistata parla delle difficoltà del giornalismo indipendente, che ha poca visibilità e remunerazione. “Combatto anche per questo non solo per fare venire a galla la verità, ma anche per questo mestiere, che come molti miei colleghi amo profondamente”.

Chiamo Barbara, per fare una celere intervista, dato che avevo voglia da diverso tempo di porgerle qualche domanda, per comprendere appieno il suo operato.

M.I.: “Buongiorno Barbara, una donna come corrispondete di guerra?”.

B.I.: “Che differenza c’è tra un uomo ed una donna?”.

Capisco di aver fatto una gaffe enorme non volendo offendere Barbara, forse perchè nella nostra provincialità, spesso tendiamo a classificare i lavori per sesso. Rimango muto e balbetto un attimo, pensando di essere partito con il piede sbagliato.

M.I.”Certo Barbara. Forse farò una domanda scontata a cui avrai dovuto rispondere chissà quante volte. Ma perchè hai scelto questo mestiere, sicuramente affascinante, ma anche dannatamente pericoloso?”.

B.S.:Fin da bambina avevo in mente di fare questo mestiere. Poi ho vissuto in un ambiente culturalmente stimolante, fatto di libri, viaggi ed all’interno di una famiglia che ha sempre combattuto per le giuste cause”.

M.I.“La tua esperienza in Venezuela, raccontata tramite il vostro Radio Bullets, di cui sei direttrice, ha sbalordito tutti. Sinceramente mi ero emozionato così tanto, che ho mantenuto le lacrime a stento. Perchè hai deciso di recarti in Sud-America?

B.S.:Ho voluto raccontare il Venezuela, dato che è un caso anomalo. Non c’è una guerra interna, eppure è come se ci fosse, poichè la popolazione locale soffre duramente per mancanza di beni di prima necessita, dovuto alla cecità della sua mala politica, che ha affossato il paese. Sono partita la prima volta due anni fa, perchè avevo notato che in Italia, nessuno ne parlava. Dovere di un giornalista non è solo raccontare quello che accade, ma mettere anche in luce un evento, una crisi, una notizia se non viene data la giusta attenzione”.

Barbara, seduta affianco ad una donna musulmana ed i suoi figli, in PakistanIl giornalista vero, anche in caso di guerra – spiega – va sul posto e racconta quello che vede, parlando di come la gente viva i conflitti e la subisce”. 

M.I.: “Dove torneresti e perchè? Hai mente qualche altra meta?”.

B.S.: “Sicuramente in Afghanistan, dove mi sono recata almeno trenta volte. Nonostante la nazione non sia riuscita ancora a trovare una solida stabilità politica, il suo popolo riesce ancora sorridere, ed ad avere una calda umanità da cui sono rimasta enormemente colpita.  La mia prossima meta è probabilmente la striscia di Gaza, per esaurire il discorso sul conflitto israeliano-palestinese, che sembra non voler terminare. Nonostante abbia vissuto per svariati anni a Gerusalemme sento il bisogno di recarmici nuovamente”. 

M.I.: “Qual’è il libro a cui ti senti maggiormente affezionata e che ti rappresenta maggiormente?”.

B.S.: “I libri sono come i figli, non puoi volere bene ad uno ed evitarne un altro. Ognuno di essi è un racconto a se, anche se forse “Guerra e guerra. Una testimonianza”, edito dalla Garzanti è quello più celebre. Tengo a precisare, che il mio modus operandi è quello di calarmi nella vita di chi, combatte le guerre come i soldati e le persone che le subiscono. In “Quando muoio, lo dico a Dio. storie di ordinario estremismo”, per esempio ho voltato pagina dando un taglio diverso alle mie storie e raccontando tre episodi di fanatismo vissuti da tre persone di differenti religioni: ebrea, cristiana e musulmana. Sono rimasta impressionata di come l’integralismo azzeri ogni tipo rapporto. L’esaltazione è sempre follia, senza distinzione di fede.”

M.I.: “Qual’è l’eredità morale che dobbiamo cogliere dai tuoi scritti e dalle vicende che ci racconti dettagliatamente?”.

B.S.: “Voglio portare a galla la verità, parlare di avvenimenti che sembrano distanti dalla nostra ceca quotidianità. Poi combatto per un bene prezioso, che spesso molti danno per scontato: il diritto all’informazione. Lotto affinchè, i tanti giornalisti indipendenti, che amano questo mestiere come me ricevano la giusta visibilità e remunerazione”.

M.I.: “Dove e quando possiamo incontrare Barbara Schiavulli?”,

B.S.:”Sarò a Pescara a breve per parlare ancora di Venezuela e poi a Tagliacozzo alla manifestazione “Controsenso”, la festa del giornalismo che si tiene nella Marsica“.

Barbara Schiavulli alla ricerca della verità

Pensare a Barbara mi sovviene Oriana Fallaci, forse potrò sbagliarmi e non so nemmeno se questo paragone possa farle piacere. Ma la sua forza, la sua determinazione e la ricerca della verità mi fanno tornare in mente le parole della compianta scrittrice fiorentina.

Anch’io viaggio molto e sono stato come Barbara, in zone non sempre sicure, come quando dal più tranquillo Uzbekistan mi diressi in taxi tra Afghanistan e Tagikistan, pregando dentro una moschea con un saggio imam, che mi rese partecipe della sua funzione, perso tra montagne e deserto. Ma dopo si torna a casa alla vita di tutti giorni e si archivia l’esperienza ad uso e consumo di social ed affini vari.

Invece, sento che Barbara, è qualcosa di più di una semplice corrispondente, perchè è operante in lei la forza di una donna che lotta nel suo piccolo e sa di aver ragione, di chi davvero s’impegna per raccontarci, con tutti i rischi che ne derivano un bene prezioso come la verità.   

 

 

Indice

Ultimi articoli

Autore

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *