Il valore del tempo
Mentre ero distratto a “disegnare” i miei propositi giovanili la storia mi passava velocemente accanto senza farmi vivere con profondità il presente.
Se perdevo una giornata non era un dramma.
Avevo davanti tutta la gioventù e non era un problema dover recuperare parte della mia disincanta “primavera“, perché mi ero illuso che il tempo mi avrebbe trattato amabilmente.
Ero io a esserne l’artefice. Se ero maleducato scorreva velocemente, mentre quando ero gentile mi regalava attimi intensi di felicità che ho utilizzato per lenire il tedio di questo interminabile lockdown.
Gabriele Levy grazie alle sua contemplativa arte mi ha trasmesso un nuova coscienza nei confronti della “quarta dimensione“.
Ideologicamente Kibbutz
Gabriele Levy è stato un giovane e come tanti si è fatto trasportare dalle emozioni e dalla voglia di ribellione per costruire un mondo migliore.
Un “Ulisse” che è andato alla scoperta di qualcosa di gratificante per evitare nel pieno della sua maturità amari rimpianti.
Nel suo piacevole libro “Chissà cosa pensano i cammelli” (https://bit.ly/3dsJQMF), narra con scorrevolezza la sua vita in guerra e all’interno di un kibbutz, la “comune” paritaria dove l’equità è stata il comune denominatore.
Una Guerra non desiderata
“Non fare l’eroe pensa a sopravvivere” questa è la frase che rappresenta Gabriele Levy.
Nel libro non si definisce un Moshe Dayan, ma un idealista che durante il conflitto cambia repentinamente opinione nei confronti del conflitto arabo-palestinese.
E sopra tutto non ha permesso che il germe dell’odio fermentasse nel suo animo.
Gli cadono le bende dagli occhi quando s’imbatte in un gruppo di ragazzini che per rivendicare il proprio territorio lanciano sassi sui tank israeliani.
Nonostante gli innumerevoli pericoli: conflitti al fuoco, appostamenti, nottate all’addiaccio, il desiderio di pace è stato più forte rispetto al risentimento.
Oggi a distanza di quei giorni scrive di preferire alla divisa da soldato quella del “borghese” e sorride quando i “buonisti-intellettualoidi” senza aver sparato un colpo parlano dei loro propositi rivoluzionari.
L’arte attraverso le lettere
M.I. :”La sua arte è raccontata attraverso l’alfabeto ebraico. Mi può descrivere cosa l’abbia spinta a far divenire una lettera un’opera d’arte?“.
G.L.: “La nostra generazione è quella che ha letto più libri in assoluto a differenza di oggi, perché attualmente i giovani preferiscono la televisione, Netflix, YouTube, Tik Tok, Instagram e Facebook.
Così prima che se ne perda l’uso ho preso la decisone di fare un monumento alla lettera come archetipo della comunicazione.
Torniamo un attimo indietro nel tempo. Il primo alfabeto della storia è stato quello proto-cananeo che nasce 3600 anni fa nel Sinai, quando uno schiavo che lavora nelle miniere di turchese de faraone prende in prestito 22 simboli geroglifici per pronunciare un suono.
Dopo essere emigrato nella terra di Canaan trasmette il suo sapere alle popolazioni limitrofe tra cui gli aramaici, ebrei, e fenici.
Quest’ultimi grazie ai loro fiorenti scambi commerciali diffondono l’alfabeto in Grecia, i quali ne invertono il senso (da sinistra verso destra), gettando le basi per il latino.
Adoro utilizzare le lettere ebraiche perché ognuna ha un proprio significato, un valore numerico e sono parte della cabala come porta d’ingresso alla comunicazione.
Con il susseguirsi degli anni ho cambiato continuamente tecnica e materiali. All’inizio preferivo l’argilla e poi ho cominciato a versare nei miei stampi in silicone gesso, cemento, etc..
Durante l’indurimento del liquido, mi dedico alla parte posteriore dell’opera e aggiungo degli oggetti, così quando le persone prendono in mano l’opera sono costrette a girarlo entrandoci in empatia”.
Stampanti 3d nell’oreficeria
M.I.: “Usa qualche accorgimento tecnologico?“.
G.L.: “A differenza della bidimensionalità della pittura e della tridimensionalità della scultura io ne utilizzo una quarta: il tempo.
Infatti se osservi una mia opera sei rapito dall’estensione di questa grandezza fisica.
Per quanto riguarda il settore dedicato all’oreficeria utilizzo stampanti 3d confezionando articoli di diversa foggia.
Il mio sistema per ottenere oggetti nella scala adeguata è quello di fotografare un oggetto da un centinaio di posizioni che importo successivamente in un software, il quale grazie a delle interpolazioni mi genera il file con la superficie più consona”.
2 risposte
Grazie del bellissimo articolo!
Grazie per avermi fatto vedere il tempo sotto un’altra prospettiva.