Sono con le gambe ciondoloni su uno steccato a qualche chilometro da Amman, mentre ascolto le tragiche notizie sul fronte iracheno. Il numero due dello stato Islamico è stato ucciso dopo un violento raid delle forze della coalizione.
Rehbi, la mia gentile guida, è appena entrata in un bar che ha tutta l’aria di una casa beduina, per offrirmi il tipico caffè giordano che, insaporito con piacevoli aromi, sarà la bevanda preferita per tutta la mia permanenza.
Ho lasciato Fiumicino e tiro un sospiro di sollievo, mi sento più tranquillo in Giordania che in aeroporto, dove un forte dispiegamento di polizia è ammassato per evitare una seconda Bruxelles. Non ero riuscito a lavorare il giorno prima della mia partenza, le news che arrivavano dal Belgio mi stavano facendo desistere dal partire. Questi ultimi anni mi sono spesso spinto in zone “calde”, e mi sale il panico al solo pensiero che sfidando troppo la sorte prima o poi qualcosa di spiacevole potrà accadere.
La paura dello Stato Islamico ha avvelenato il mio spirito, facendomi agitare per tutto il soggiorno nella Città Eterna. Ma non sono il solo, e quando una signora si mette a urlare perché una valigia solitaria è stata lasciata in terra per qualche minuto dal suo sbadato padrone, capisco che questo stato di tensione si protrarrà per chissà quanto tempo e che la nostra esistenza muterà radicalmente.
È proprio questo ciò che vuole l’Isis, tenerci prigionieri nella morsa dell’odio e del terrore e se non fossi partito avrei fatto vincere l’esercito di Al Baghdadi.
Alla scoperta di Amman
Prima del tragitto per Petra, giriamo in tondo nella city di Amman, dove una costruzione che ha la forma della torre di Babele è divenuta il simbolo della crescita economica del paese, anch’esso non immune dalla crisi economica. La zona è molto elegante, perché, saggiamente, gli architetti hanno realizzato una zona semiestensiva, esclusivamente in muratura, con dei bellissimi rivestimenti in pietra che danno grande omogeneità e lucentezza al complesso residenziale.
L’area è molto diversa dal centro della capitale, in cui un labirinto di case, malamente edificate, si addossano l’una sull’altra senza un preciso rigore urbanistico. Ma questo enorme agglomerato, spiega Rebhi, è dovuto ai tanti immigrati iracheni fuggiti dalla Guerra del Golfo del 1991, e dai profughi palestinesi che oggigiorno hanno acquisito la cittadinanza giordana. Molte zone sono illegali, e il governo sta combattendo l’abusivismo dilagante, creando dei nuovi quartieri periferici anche per i rifugiati siriani che affollano il piccolo campo profughi adiacente la loro ambasciata.
È mattina presto, alcuni di loro si stiracchiano con molta energia mentre alcune madri con sporchi stracci puliscono i neonati dentro una tinozza lurida. Ci fermiamo un attimo, devo scattare foto perché voglio essere testimone della durezza della loro esistenza, e una ragazza dagli occhi vispi si avvicina chiedendomi qualche dinaro. Li poggio sulla sua mano e penso a quanto personalmente posso essere ipocrita.
Regalo qualche moneta per stare a posto con la coscienza, e mi auguro di non vivere mai questa situazione. Ho visto spesso che idioti mistici, durante i viaggi nei paesi sottosviluppati, si fanno selfie con bambini malnutriti che sorridono malamente solamente per avere qualche genere di conforto, postando schiocche prodezze sui loro personali profili Facebook. Definitemi in qualsiasi modo, ma per favore non paragonatemi a questi falsi buonisti.
La pace armata tra la Giordania e Israele
Il viaggio scorre noioso e il paesaggio non ha molta presa su di me, perché piatto e monotono e solamente gli innumerevoli posti di blocco danno un po’ di vita al tragitto. Circa ogni venti chilometri una pattuglia ferma le auto in corsa e qualche volta tocca al sottoscritto. Quando un poliziotto chiede i nostri documenti e vede che sono italiano, apriti cielo: il mio passaporto si trasforma come per magia in un fantastico lasciapassare. Mi sorride, sembra che in Giordania, tutti abbiamo a cuore l’Italia e chi per un motivo chi per un altro, tiene a sottolineare quanto sia bella la nostra penisola.
Chiedo a Rebhi: “Come mai questo dispiegamento di polizia? Non è esagerato, ho contato tre pattuglie nel giro di quaranta chilometri?”.
Risponde: “La Giordania, vive dal 1994 una pace armata con Israele, quando Re Hussein stipulò un trattato con gli ebrei. Ma il problema rimane l’Isis con i suoi infiltrati. Siamo in una vera e propria polveriera. Ai confini sono tutti in armi. Noi giordani vorremmo tanto una vera pace”.
Cerco di carpire più notizie di attualità possibili, la mia guida non si fa certo pregare e continua:”Dopo l’esecuzione del pilota giordano, barbaramente ucciso dalle armate nere, ad Amman, la principessa Rania e il re Abd Allah hanno sfilato per le strade della capitale con il popolo, per mostrare al Califfato che la Giordania non si rivelerà mai debole di fronte alle loro scelleratezze”.
Non ho mai amato le teste coronate, ma questo sovrano raffigurato come un monarca soldato mi affascina molto, mi sembra più vicino al suoi cittadini di qualsiasi altro politico occidentale. È rappresentato dovunque anche sui cartelli propagandistici di queste lande desolate. Mi piacerebbe molto conoscerlo per una intervista, sono convinto che mi concederebbe questo onore, perché nei suo occhi leggo una durezza mista a una sana simpatia tipica di questo generoso popolo. Chissà… forse un giorno.
Petra
Tutto d’un tratto, dopo qualche chilometro, il paesaggio diventa meno desertico e scorgiamo le prime piante. Siamo a Wadi Musa, la sorgente scoperta da Mosè durante l’esodo. Il territorio, se pur brullo, è di molto somigliante a quello della Cappadocia e ha una folta vegetazione.
Dopo qualche chilometro siamo a Petra. Il nuovo padiglione ci accoglie come i tanti turisti in visita. Il biglietto non è proprio economico, ma capirò il perché dopo. Una spianata alternata a strettoie rocciose e anguste montagne si aprono alla mia vista.
Subito si avvicinano ragazzi a cavallo, in carrozza e in cammello, che vogliono strapparmi qualche dinaro per accompagnarmi fino a metà tragitto, quando invece l’unico animale che potrà essere utile sarà l’asino. Alcuni di loro sono affascinanti uomini con lunghi capelli neri e pesantemente truccati con mascara, che assomigliano a primo acchito a Jack Sparrow. I loro occhi sono così profondi e che quando li incrocio mi danno un senso di disagio, come se penetrassero i segreti più nascosti della mia anima.
Rebhi, come sempre ama spiegare ogni singolo dettaglio dandomi prova ancora una volta della sua cultura. “Petra è stata la capitale dei Nabatei, che da predoni si trasformarono in stanziali erigendo questa meraviglia. Le prime cose che vi salteranno agli occhi sono le tombe scavate nella roccia, e le tante nicchie votive protagoniste della Gola del Siq. Parallelamente corrono dei canali che servivano sia come drenaggio per l’acqua che per il sangue dei sacrifici. Le iscrizioni che man mano troverete sono state incise in tanti alfabeti diversi, sintomo di varie dominazioni. I romani in un primo momento chiedevano solamente un tassa agli autoctoni, mentre successivamente, sotto l’imperatore Adriano conquistarono la città adibita a necropoli”.
Le fauci che si alternano, sono così strette che sono state conquistate con battaglie sanguinose. Una similitudine con le Termopoli.
Dentro di me nasce un miscuglio di emozioni perché magia, esoterismo, morte e archeologia si mischiano tra loro. Sento che un mio personale viaggio iniziatico è incominciato.
I colori cambiano sotto il riverbero della luce e mutano al mutare delle ore, raggiungendo la massima intensità in quelle pomeridiane vicino ad Al Khaznen, ossia il Tesoro, il luogo più maledettamente affascinate mai visto. Se dovessi avere una graduatoria dove piazzare questo arcano luogo, penso proprio che raggiungerebbe il top.
La forza naturalistica della Gola del Siq, si scontra con la facciata del Tesoro riccamente decorato da capitelli Corinzi, fregi e figure di Amazzoni, dove natura e arte si legano magicamente in un connubio senza pari.
Mi sento così in empatia con il luogo, che indosso il turbante per assomigliare almeno per un attimo a questa gente, che ha abitato la zona anni addietro fin quando il governo ha costruito palazzi al di fuori del perimetro archeologico per insediarli. Fortunatamente ne avevo acquistato uno, per difendermi dalla pioggia e dalla calura.
Petra è un sito archeologico alquanto bizzarro, perché varia in base alle diverse dominazioni, da cimitero per i Nabatei a città per i Romani che realizzarono templi pagani e un teatro dalle fattezze simili a quello di Amman. Solamente i Mussulmani alquanto superstiziosi lasciarono all’abbandono la città.
Strane figure animano il mio viaggio iniziatico ai confini della cittadella, verso il Monastero El Deir, entità che sembrano aleggiare intorno a questo mistico cammino frequentato da strane presenze. Persone o cose che hanno tutte un valore mediatico, spirituale ed enigmatico. Alcuni abitanti mi guardano assenti e scompaiono frettolosamente in mezzo a qualche inaccessibile fauce.
Bambini corrono scalzi su dure rocce e io, che calzo comode scarpe da ginnastica, non riesco proprio a stargli dietro. Una bambina dagli occhi tristi mi si avvicina, mi studia e mi porta con sé per farmi vedere le celestiali pietre all’interno di una grotta, dove le diverse cromature delle rocce danno vita a sfumature mai viste prima. Gli do qualche moneta ma fugge via riprendendo le sue abitudini giornaliere.
L’unico ad avere un pizzico di occidentalità è un cordiale ragazzo nato da madre neo zelandese e padre beduino e dalla cui storia è stato scritto un libro. Mi parla della sua vicenda e mi fa vedere la foto che da bimbo lo ritrae addirittura con la regina Elisabetta II.
“Affascinante, che ne pensi?”, mi chiede. “Si”, rispondo, pensando se il suo sia un gesto eroico oppure quello di un folle che ha preferito le agiatezze occidentali per rintanarsi all’interno di una grotta vendendo le sue cianfrusaglie. Non acquisto nulla, ma questo non significa che la sua gentilezza viene meno. Qui tutti sono calmi e i venditori non ti mandano all’altro paese se non comperi la loro mercanzia, tutti spendono un sorriso e cercano di aiutarti nel loro piccolo, sono così differenti dalla nostra malsana educazione, dove sorridere è divenuto un optional.
Rebhi dice:” Siamo arrivati al Castello della ragazza, adesso ti lascio solo, dirigiti sempre avanti e troverai la massima altura”. Che sia un paese di indovini questo, sembra che abbia letto la mia voglia di solitudine. Spesso penso di essere ripetitivo, ma secondo la mia modesta opinione solamente rimanendo isolati per qualche attimo riesco a entrare in simbiosi con questi luoghi, soprattutto se magici.
Salgo, con fatica, interminabili gradini scavati nella roccia e mi fermo solamente quando sento la mollezza delle gambe, e soprattutto quando devo spostarmi per stare attento ai tanti asini che portano i visitatori sulla sommità della città. Una coppia di animali quasi mi investe, sono montati da due spericolate guide che non soffrono le vertigini del profondo strapiombo che gli corre accanto. Si girano mi chiedono scusa sorridendomi, ma sono così trafelato da non ricambiare la loro cortesia.
Sulla cima della montagna si può salire a coppie, Petra mi vuole dare questa estrema soddisfazione e le alture che mi circondano sembrano reggere un tetto invisibile ammantato da una velata foschia spazzata da un leggero alito di vento. Il mondo sta cambiando celermente verso nuove tecnocrazie, ma la magia di questo posto rimarrà immortale.
Prego affinché la follia dei terroristi non si riversi sul sito come è stato per Palmira.
Torno indietro a ritroso sui miei passi, dopo qualche ora, il mio cicerone mi aveva dato un orario che proprio non riesco a rispettare ma non si arrabbia, sa quanto sia faticosa la salita e per refrigerarmi un po’ mi ha comperato dell’acqua che spegne la mia cocente arsura.
Saliamo in auto, la mia guida mette su delle lezioni di mitologia fatte da un suo professore universitario per farmi innamorare ancora di più della città Nabatea, ma sono stanco e lotto faticosamente per far sì che Morfeo non si impossessi di me, ma non riesco proprio a tenere gli occhi aperti. Mi sveglio a metà strada questa volta più pimpante e seguo con passione l’amabile discorso di questo simpatico docente, che se pur giordano se ne esce con qualche intercalare romano. Gli scrivo su Facebook, per ringraziarlo. La sua conferenza è molto esaustiva ed acquisisco notizie che mai e poi mai potrei trovare in un libro.
Il cielo notturno del deserto giordano è illuminato da forti bagliori che si confondono con il firmamento. Il mio pensiero va al mio amico Claudio Settimi, bravissimo fotografo, che sul letto di morte mi fece promettere che se fosse sopravvissuto avrebbe voluto visitare Petra con me.
Sono stato poco celere e non ho mantenuto la promessa…Ma nel mio piccolo sento di aver sconfitto almeno l’Isis.
(Articolo apparso per la prima volta su lifemarche.net il 05/04/2016)