(Autorizzazione alla pubblicazione di questo articolo dal presidente della Fondazione MA.SO.GI.BA., prof. Ettore Orsomando)
Quando durante la mattina ho un appuntamento di lavoro, mi alzo molto presto pur di trovarmi sul luogo almeno con una buona mezzora di anticipo: ho sempre il timore di non arrivare in tempo per l’incontro e di fare una pessima figura.
Quindi, sono le sei del mattino, i primi bagliori del giorno si infrangono contro il parabrezza della mia auto, quando mi fermo per fare il pieno in una stazione di servizio lungo il tragitto. Un uomo di colore viene con sollecitudine verso di me e pur prodigandosi continua ad ascoltare da una radio un imam che recita un brano del Corano. Mi chiedo se in questa tesa situazione politica e sociale gli immigrati che si stanno riversando in massa all’interno del Vecchio Continente potranno mai amare la nostra cultura, attaccati come sono alle loro tradizioni.
Poi rifletto: il declino che sta colpendo molti settori della nostra civiltà è dovuto anche al nostro impoverimento umano; i vecchi capisaldi occidentali del vivere quotidiano sono stati sostituiti da valori frivoli e decadenti.
Mi capita spesso di sentirmi deluso e amareggiato e penso che dovrei rivedere tutta la prospettiva della mia vita, cedendo a quella soffice mollezza che alberga in tante persone di mia conoscenza che si lamentano sempre, ma che non fanno nulla per cambiare la propria esistenza, adagiandosi alla loro routine quotidiana. D’altronde, come affermavano già i latini, carmina non dant panem.
Eppure è proprio la scoperta di capolavori a me sconosciuti, come il Castello di Lanciano che mi spingono a continuare lo studio della nostra affascinante storia.
Il castello di Lanciano
Non è stato semplice visitare il castello di Lanciano nel comune di Castelraimondo: il maniero è proprietà della fondazione privata MA.SO.GI.BA – acronimo di Maria Sofia Giustiniani Bandini – che prima di accettare la mia richiesta mi ha fatto seguire un rigido protocollo. Confesso tuttavia che avere a disposizione questa elegante rocca solo per i miei occhi e due docenti universitari ben disposti ad accogliermi mi inorgoglisce non poco.
Non riesco ad individuare immediatamente il castello dalla strada, perché la vegetazione del parco che lo circonda è così folta da consentire la scoperta dell’edificio solo all’arrivo sulla grande corte. Uno spettacolo naturalistico superbo incornicia il vecchio maniero in un idillio senza tempo.
Il simpatico factotum, che scherzando si vanta castellano, mi accoglie gentilmente e mi presenta i due professori: Ettore Orsomando, da me conosciuto per telefono, e Pier Luigi Falaschi che mi fornirà le notizie utili alla comprensione di questo gioiello architettonico.
Aperto il pesante portone ligneo d’ingresso, davanti ai miei occhi si materializza un fiabesco scalone, realizzato con scalini e balaustre in pietra gessina, sulla cui sommità, all’interno di nicchie, sono poste due colossali statue di gusto sostanzialmente ancora barocco del Varlè , mentre sul soffitto è dipinto lo stemma composito dei principi Giustiniani Bandini.
Il maniero, a differenza di altri diffusi nelle Marche, nonostante i tanti interventi subiti nel corso dei secoli, non ha perduto – soprattutto nel prospetto principale – la forte impronta rinascimentale ad esso impressa intorno al 1490, con pilastri ed archi “albertiani”, probabilmente da Baccio Pontelli, in quel torno d’anni documentato a Camerino al servizio di Giulio Cesare da Varano, Signore della città e di vasta porzione della Marca centromeridionale, e della consorte Giovanna Malatesta.
La storia
Le prime menzioni d’un fortilizio a Lanciano risalgono in realtà alla metà del Duecento, quando l’abbazia di Fiastra realizzò nei pressi una grancia per sfruttare adeguatamente poderi irrigui acquistati da molti piccoli proprietari.
Le notizie che il professor Falaschi fornisce sono tante che risulta difficile tenergli testa; annoto velocemente più appunti possibili ma temo che la situazione mi scappi di mano: le vicende narrate sono così rilevanti da far pensare che parte non indifferente della storia d’Italia sia passata di qui. Certamente Lanciano resta indissolubilmente legato a due figure femminili tra loro lontane nei secoli eppur entrambe di straordinario temperamento: Giovanna Malatesta, figlia di Sigismondo Pandolfo di Rimini e nipote di Francesco Sforza duca di Milano, che trasformò la rocca primitiva in reggia di campagna e la principessa Maria Sofia Bandini, ultima abitatrice di questo incantevole luogo, consorte di Manfredi, Gravina alto Commissario per Danzica della Società delle Nazioni, e amica personale di Paolo VI.
L’interno del castello
Passiamo in rivista sala dopo sala: gli arredi sono così ben conservati che sembrano attendere chi con amore li acquisì. Nulla è stato toccato: almeno al posto destinato dall’ultima principessa restano gli oggetti da lei lasciati nel lontano 1977, quando la morte la colse, come a restituire i costumi di vita della nobile proprietaria.
Il silenzio regnerebbe sovrano senza la voce del professore che prosegue nel racconto; a tratti tuttavia si interrompe e tace come rapito a sua volta dalla strana atmosfera.
Gli ambienti che si succedono sono unici nel loro genere ed in ciascuno di essi sono conservati suppellettili, opere d’arte ed oggetti appartenuti anche ad importanti sovrani: tra i cimeli la sella di Cristina di Svezia, che evidenzia come la regina non cavalcasse all’amazzone. L’essenzialità esterna del castello è ribaltata all’interno da una raffinatezza ed una ricchezza di ornamenti senza pari che poco spazio lasciano all’immaginazione.
Una cappella interna, un salone cinese del Settecento quando era di moda l’esotismo orientale, la sala dei ritratti raffiguranti i discendenti della famiglia Bandini e sontuose camere per ospiti sono alcuni dei vani che il professore mi mostra.
Il pezzo forte, però, è indubbiamente la c. d. Galleria, progettata nel 1769 da Giovanni Antinori, che ha le dimensioni di un enorme salone, decorato di marmi preziosi, di stucchi, di specchi, di statue, di innumerevoli tele, di dipinti murali trompe-l’oeil al soffitto. Ogni parte di questo meraviglioso ambiente è stata curata nei dettagli e niente è stato lasciato al caso: mi sento quasi schiacciato dalla gravità della sua bellezza esaltata dalla luce artificiale di splendidi lampadari veneziani. Quando il ‘castellano’ spalanca uno sportellone un barlume sbatte contro uno specchio, collocato sulla parete opposta a simulare una finestra, che emana un bagliore vivido. Immagino quel che potrebbe accadere se si dovessero aprire tutti gli scuri in una soleggiata giornata estiva… Sotto questo meraviglioso firmamento artistico rifletto sulle straordinarie capacità dell’uomo in grado di liberarsi delle sue meschine fragilità e di mettere a profitto ogni sua facoltà.
Giriamo ancora per le vorticose sale del piano nobile, fra le quali alcune concepite per scopi ludici: una ospita un biliardo ed una specie di antico flipper che emana una musica celestiale, quando il mio cicerone lo aziona; quasi al termine del tour si visita la sala da pranzo, di gusto neoclassico e con un enorme tavolino piazzato nel mezzo, particolarmente legato alla figura della principessa Bandini.
Qui la vicenda umana di questa romantica donna, cui era venuto precocemente meno l’amatissimo consorte, Manfredi Gravina di Ramacca, prendeva vita quotidianamente. Seduta al grande tavolo ogni sera, ingioiellata e vestita di lungo anche in assenza di ospiti, consumava la sua cena, rispettando le rigide consuetudini della nobiltà più autentica.
L’amore per l’etichetta non impedì mai alla fervente cristiana di esercitare con generosità estrema la carità: non fece mai mancare il suo aiuto ai bisognosi e a tutti coloro che bussavano alla sua porta, risolvendo spesso in prima persona le problematiche di chi a lei si rivolgeva; per vario tempo svolse a Roma il ruolo di presidente nazionale delle Dame della carità di S. Vincenzo; a tutti i suoi dipendenti, cessati dal servizio e privi di famiglia propria, assicurò all’interno delle sue residenze dimora e mantenimento; col suo testamento lasciò la casa paterna di Roma ai missionari di San Vincenzo sostenendo in tal modo anche le missioni cattoliche.
Portato dalle parole del professore, immagino davanti a me silenziosa ed austera questa fiera e caritatevole paladina di un mondo purtroppo oggi scomparso e tuttavia in grado ancora di rivivere in un ambiente singolarmente evocativo e tanto da lei amato come il nobile Castello di Lanciano.
(Foto Archivio MA.SO.GI.BA. di R. Dall’Orso e E. Orsomando)
4 risposte
Passando mi ha sempre incuriosito questo castello che si vede fra gli alberi. Adesso ancora di più ci è venuta la voglia di poterlo visitare. Si può? Bisogna essere pochi o numerosi?8
Il Castello è stupendo, merita una visita approfondita.
Fui accompagnato nel 2016 per questo pezzo dal prof. Falaschi. Dopo il terremoto purtroppo fu chiuso ma sulla loro pagina Fb puoi trovare il loro numero di telefono. Grazie del messaggio
Buongiorno volevo sapere se attualmente è possibile fare visita al Castello di Lanciano .Grazie
Buongiorno penso che il castello sia chiuso a causa del terremoto.
Comunque nel loro sito può trovare il numero.
Qualsiasi cosa non esiti a contattarmi.
Un Saluto
Marco Iaconetti