Ricordi di gioventù
Pietracamela è un piccolo borgo, come tanti in Abruzzo adagiato su picchi innevati.
Mentre sfreccio in auto, alternando la mia guida su tortuosi e veloci rettilinei m’imbatto nella mia vecchia scuola l’ITG Carlo Forti.
Rimembro il passato remoto ed a quando fantasticavo sul mio futuro, pensando a che razza d’uomo sarei divenuto nella mia piena maturità.
Ai tempi i più grandi mi suggerivano di seguire le loro stesse orme, con una sequenza di rigidi passaggi: laurea, lavoro, moglie, figli e via discorrendo.
Ho preferito azzardare con tutti i rischi che ne comportano, perché ho avuto sempre il desiderio di conoscere, preferendo incollarmi un leggero trolley e viaggiare, piuttosto che seguire i consigli di persone che avevano come unico scopo timbrare un cartellino per il resto dei loro giorni.
La cittadina mi ricorda istintivamente anche il CAI (Club Alpino Italiano), quando per evitare una immeritata bocciatura in fisica preferii iscrivermici, facendo la felicità del mio barbuto professore.
Il dolore di un borgo
Se la memoria non mi tradisce non venivo a Pietracamela dal 2006, quando con mio padre feci un accurato rilievo per una nostra storica cliente.
La piazza pullulava di turisti provenienti da buona parte d’Italia ed il paesello non doveva fare i conti con le feroci leggi del nuovo mercato globale.
Oramai non si sente parlare che di PIL, crescita occupazionale, investimenti, tralasciando i rapporti umani, eppure rifletto che in un paese in cui si hanno delle buone fondamenta economiche anche il nostro animo ne gioverebbe.
Alcuni coraggiosi hanno coniato una virtuosa teoria: “decrescita felice“, un approccio olistico e sociale teso al ritorno alla terra. Pura fantasia, perché decrescere è assioma di povertà.
Nonostante le tante presenza il rumore più forte era il silenzio, mentre oggi questo vocabolo ha un peso molto differente.
E’ simbolo di un paesino, precedentemente vivace oggi svuotato del suo animo, con chiese fasciate da invasivi tiranti e botteghe sbarrate da stipiti in legno.
Di solito amo fermarmi per godere di quella serenità rubata da fatture elettroniche e follie burocratiche, mentre oggi sono troppo immedesimato nel “ventre debole” del suo centro storico.
Il terremoto ha cambiato definitivamente i suoi connotati architettonici e mentre salgo le ripide salite, mi fermo ogni qual volta leggo un avviso con sopra riportato sia i nomi dei proprietari che il perché della loro inagibilità.
Cerco di scovare una finestra aperta per poter parlottare con qualche persona, incrociarmi con qualche abitante, ma nulla, la città ha smesso di “respirare”.
La sua vivacità è un ricordo lontano ed il suo tessuto urbano è davvero spettrale, nonostante dopo una buona mezz’ora due gentili persone si avvicinano per capire il perché della mia presenza. Alcuni passanti, bardati per una passeggiata fuori porta mi augurano buon lavoro e scambiamo rapide battute.
Al residence Gran Sasso, discutendo con Luigi
Di solito per avere notizie approfondite devo scovare le memorie storiche dei paesi ed i bar sono i luoghi più adatti dove intervistare eventuali ciceroni, che tra una partita di briscola ed un buon bicchiere di vino, mi raccontano il folclore locale.
Al bar Gran Sasso, incontro il signor Luigi a cui chiedo se crede nella rinascita del suo paese.
Mi risponde con amarezza:”Non so se la mia terra tornerà a splendere come un tempo. Di una cosa sono certo, gli innumerevoli B&B, fiore all’occhiello del nostro turismo hanno chiuso i battenti e se non riapriranno le presenze si azzereranno. E’ dura sopratutto perché non c’è stato un cambio generazionale“
E’ sempre la stessa storia vecchi uomini che rammentano le ore più belle della loro vita, maledicendo l’incoscienza delle nuove leve.
Ma temo che il simpatico Luigi abbia ragione, perché non c’è più voglia di impegnarsi, di essere partecipi di antichi riti “pagani”, preferendo il mondo virtuale dei social. I nostri borghi avranno vita difficile e saranno abbandonati a loro stessi?
Anche l’energica figlia, mi conferma con una certa rabbia le dure parole del padre, alludendo alla soffice mollezza della nostra interinale società ed evidenziando di come molti concittadini abbiano preferito lasciare le proprie case, reinsediandosi nelle abitazioni post sisma del vicino comune di Montorio al Vomano.
Pietracamela e l’assoluto
Vado via prima del solito da questa piccola cittadina e mi sento anch’io colpevole del suo abbandono.
Sono stanco del mio paese, non ho futuro e l’anarchia dilagante creerà così tanti scompensi da impoverirci moralmente ed economicamente. Credo nelle opportunità, ma estere possibilmente, come tanti d’altronde.
Faccio parte di quella generazione spazzata da una classe politica che ci ha ingannato, illudendoci con un benessere materiale fittizio.