La zona cuscinetto del Caucaso
La regione azerbaigiana del Nagorno-Karabakh è tornata ad attrarre l’attenzione dei media internazionali nelle scorse settimane.
Territorio dalla lunghissima storia, abitato prima del conflitto da una maggioranza armena a da una minoranza azerbaigiana, venne occupata dalle forze armate dell’Armenia all’indomani della disgregazione dell’URSS, insieme a sette distretti adiacenti, la cui popolazione era al 100% azerbaigiana.
Una bomba ad orologeria pregressa innescata nel cuore del Caucaso, quando venne collocata lì la popolazione armena: una bomba dimenticata per decenni, con i negoziati per la soluzione del conflitto, mediati dal gruppo di Minsk dell’OSCE, di fatto congelati.
Una situazione che è stata resa ancor più drammatica da esplosioni di violenza, come nel massacro di Khojaly, quando, nella notte tra il 25 e 26 febbraio 1992 i cittadini azerbaigiani della città furono massacrati dalle forze armate dell’Armenia.
Una Visione italiana
La mia esperienza come parte “sensibile” del conflitto parte nel 2012, quando all’arrivo nel vecchio aeroporto di Baku, vengo a sapere di un nuovo allarmante contenzioso tra i rispettivi fronti.
La polizia ha la guardia alzata e nonostante la celebre ospitalità locale, l’attenzione anche nei confronti della mia visita è notevole.
Ma ben presto risulta evidente come il mio sia un interesse esclusivamente turistico.
In fondo la guerra è lontana, Baku mi mostra il suo vero volto, quella di una città in pieno sviluppo e desiderosa di mettersi al passo con i tempi, anche se il tema di un nuovo conflitto armato fa breccia ogniqualvolta parlo con i locali.
Entro all’istante in empatia con il suo variegato tessuto urbano e sopra tutto con la stupenda “Old Town“, dove sono tangibili i segni di un passato glorioso e di un raro pluralismo etnico e religioso, superiore al nostro tollerante e decantato neo-liberalismo.
Avrei voluto prendere un mezzo per raggiungere il fronte, un’occasione per conoscere i retroscena di questa guerra dimenticata, ma questo è impossibile per motivi di sicurezza: per i miei nuovi amici azerbaigiani sono uno strano turista, amante di una spia d’altri tempi quale fu il concittadino Richard Sorge.
Le dichiarazioni dell’Ambasciatore Mammad Ahmadzada
E’ da tempo che ho stretto una bella amicizia giornalistica con l’Ambasciata Azera in Italia ed ho partecipato ad innumerevoli eventi ragion per cui mi sono sentito in dovere di dire la mia, sopra tutto dopo l’evento “Dieci storie che potevano essere vere“, dove si narrava le vite spezzate di alcuni ragazzi da parte delle truppe armene, durante le tragiche giornate del 25 e 26 febbraio 1992.
L’ambasciatore Mammad Ahmadzada già allora mi spiegò come il conflitto armeno non avrebbe potuto trovare termine se il governo di Yerevan non avesse ritirato le sue truppe dai territori azerbaigiani sotto occupazione, ponendo fine all’escalation militare, ammonendo, allora come oggi, i media armeni per le continue fake-news, atte a screditare l’Azerbaigian di fronte all’opinione pubblica mondiale.
Tutela dell’eredita’ cristiana e storica nelle terre liberate
Quest’anno il conflitto è riesploso in tutta la sua violenza e l’Azerbaigian è riuscito a liberare i suoi territori.
L’Armenia è stata costretta alla resa, dopo 6 settimane di perdite sul campo ed ad accettare un accordo sul cessate il fuoco che ristabilisce la giustizia internazionale e rende applicati i numerosi documenti internazionali che richiedevano all’Armenia il ritiro delle sue milizie.
Fedele alla sua visione pluralista, al termine della liberazione dei territori occupati il Ministero della Cultura dell’Azerbaigian ha fatto intendere che preserverà i beni architettonici mediante un minuzioso lavoro di restauro e ricostruzione, perché i cristiani sono parte integrante, insieme ai propri monumenti, della società azera.
Un modello di tolleranza elogiato perfino da Papa Francesco durante una sua visita nell’ottobre 2016, in cui ogni persona può professare il proprio credo senza discriminazione alcuna.
Negli ultimi venti anni il governo ha approfittato della crescita economica del secondo boom petrolifero non solo costruendo nuove infrastrutture per ammodernare il paese, ma ha pensato ad un piano strategico per ristrutturare il proprio tessuto storico.
Una “guerra” vinta ed atta a continuare il vincente modello culturale azero, che stupefece diverse delegazioni occidentali alla fine della Prima Guerra Mondiale, quando la “civile” Europa usciva dissanguata dall'”inutile strage”.